Un giorno di circa venticinque anni fa – è passata una vita ormai – decisi di dedicare la mia esistenza a questa impresa. Verrebbe da chiedersi perché mai qualcuno, sano di mente, vorrebbe dedicarsi a qualcosa di così astratto.
La gente si occupa di cose più convenzionali: trovare un buon lavoro, una bella casa, una famiglia, qualcosa da fare nel tempo libero. Sono obiettivi con cui è facile confrontarsi. Però a pensarci bene questi rappresentano in fondo un’idea semplice di felicità. Abbiamo l’impressione, la speranza forse, che una volta raggiunti otterremo in cambio una certa dose di benessere. È un pacchetto preconfezionato di certezze che acquistiamo, pagando con il tempo della nostra vita.
Però non funziona per tutti.
Il lavoro finisce per togliere più di quello che restituisce, la casa ci incatena ad un mutuo per trent’anni, e tempo per gli amici e per le proprie passioni ce n’è sempre troppo poco.
Gli intermediari a cui abbiamo affidato le nostre speranze di felicità a mio parere ne trattengono una percentuale troppo alta.
Quelle che seguono sono le basi della mia “ricerca della felicità“. Nulla di astratto: sono regole semplici che cerco di applicare tutti i giorni.
Non è sempre facile, lo ammetto. Io sono abbastanza disciplinata e costante, ma è davvero faticoso. Però ne vale la pena, credetemi.
Iniziamo dalla base: cos’è la felicità?
La felicità, per come la vedo io, è uno stato di serenità duratura. È il benessere che resiste agli inevitabili colpi della vita, gli eventi negativi su cui non abbiamo alcun controllo. Ed è anche il terreno fertile da cui nascono tanti piccoli attimi di gioia, la sensazione effimera e quasi estatica in cui tutto ci appare completo e perfetto.
La mia ricetta per la felicità si ispira proprio a queste due ultime parole: se la completezza è avere con sé tutto ciò che serve, la perfezione si raggiunge togliendo il resto.
Quindi per essere felici basta avere con sé “tutto il necessario e niente di superfluo“.
Cos’è il superfluo?
È tutto quello che non mi è utile e appesantisce la mia esistenza.
Non solo gli oggetti che mi trascino appresso da anni e che nemmeno so più di avere. Sono soprattutto le paure che mi ostacolano, i pregiudizi che mi accecano, i lati del mio carattere che mi impediscono di diventare davvero me stessa.
Ancora più superflue sono le voci degli altri: le opinioni, le paure, le aspettative altrui. Tutto quello che mi influenza e dirige i miei passi in una direzione che non è la mia.
Perché penso che un buon lavoro o una bella casa siano importanti? Perché me l’hanno insegnato. Mi hanno spiegato che devo farmi una posizione, e che devo seguire le mode. Mi hanno sbattuto in faccia esempi di bellezza inarrivabile per farmi comprare cazzate che non mi servono. E così mi hanno incolonnato in uno stile di vita che non mi appartiene, a inseguire valori in cui nemmeno credo, confortata dalla presenza di tutti gli altri, illusi tanto quanto me, infelici tanto quanto me.
È solo una gabbia fatta perlopiù di illusioni, ed è tutto superfluo, sono tutti ostacoli alla mia felicità. Devo liberarmene, e tenere solo il necessario.
Cos’è il necessario?
Il necessario si riconosce subito. La prima volta mi è capitato nell’isola di Guadalupe, di fronte a uno spettacolo incredibile. Ero lì, a bocca aperta, con le lacrime agli occhi, la bocca dello stomaco strizzata come uno straccio, non sapevo se ridere o piangere, e avevo un pensiero fisso in testa: “io da qui non me ne voglio andare“.
Ecco, quello per me era necessario. Il corpo è molto chiaro quando parla, basta solo ascoltarlo.
Era la natura selvaggia. Qualcosa che avrei dovuto tenere stretto e con cui riempire la mia vita.
Invece ho detto “tornerò, prima o poi“, e l’ho lasciata dov’era. Sono tornata in città, in mezzo al traffico, al cemento. Dovevo tornare a lavorare. Avevo le bollette da pagare.
Ma il necessario non ti molla così facilmente. Prima o poi gliene devi rendere conto, o pagherai con i sorrisi che non farai, con le mattine in cui ti svegli e vuoi solo tornare a dormire, con il tempo che passa e non ti lascia nient’altro che tracce sul viso.
La ricchezza dell’inaspettato
La gente ha generalmente paura delle novità, o perlomeno fa fatica ad accettarle. Le abitudini sono rassicuranti, ma se mi manca qualcosa per essere felice, sono proprio le abitudini a tenermici lontano.
Una volta abbandonata l’inerzia ai cambiamenti, la paura dell’ignoto e il pregiudizio verso l’estraneo, scopro che il mondo dentro e fuori di me è una miniera di sconosciuto, e io, come un disciplinato minatore, posso scavare in profondità, scartando man mano quello che non ha valore, e tenendo per me solo le gemme più preziose.
Per mettermi alla ricerca mi è bastato crearmi una vita che mi permettesse di avere a che fare con la novità il più spesso possibile. È un’attitudine mentale più che una regola pratica, ma sicuramente mi ha giovato trovare un lavoro che non assorbisse la quasi totalità del mio tempo e delle mie energie.
Grazie a questo ho anche iniziato tanti piccoli progetti. Li ho abbandonati quasi tutti, perché lo scopo non era terminarli, ma imparare. Cercare il necessario. Crescere. È un procedimento “trial and error“, un’indagine, un sentiero da percorrere scoprendone un passo alla volta.
La strada della felicità
Questa, in sintesi, è la mia ricerca della felicità: zittire tutte le voci inutili, per poter ascoltare solo la mia. Distinguere grazie ad essa il superfluo, ed eliminarlo dalle mie giornate. Cercare nello sconosciuto le tracce di ciò che ancora mi manca, e una volta trovato, tenerlo stretto.
La ricerca non è pericolosa, non c’è il rischio di eliminare dalla propria vita l’amore, la stabilità di una casa o persino un lavoro. Al contrario: se fanno parte del mio necessario, prima o poi dovrò includerli comunque. Ma per arrivarci avrò evitato tutte le trappole e le illusioni.
Non è una strada facile, questo è vero. Bisogna mettere in discussione le fondamenta stesse della propria esistenza, e ricostruire tutto da capo. Ci vuole disciplina, sincerità e tanta determinazione. Molti preferiranno piuttosto la comodità di una vita secondo i canoni, o aspettare che le cose accadano da sole, limitandosi a desiderarle.
Ma per chi avrà il coraggio di tentare, la ricompensa è grande.
La felicità non è il premio alla fine di una caccia al tesoro, ma una luce che illumina sempre più le mie giornate man mano che mi avvicino.
Anche fare un solo passo in quella direzione è meglio di non averne fatto neanche uno.
Certo, ci sono momenti in cui mi fermo e mi siedo, stanca. Mi chiedo chi me l’ha fatto fare, ma non riesco a pentirmi di aver iniziato, neanche se volessi. Basta guardarmi indietro, e in tutte le cose che ho imparato, in tutte le esperienze che ho fatto, in tutta la vita che ho vissuto trovo la certezza più assoluta.
Sono esattamente dove vorrei essere… sulla strada giusta.
Ti ho detto che avrei voluto farti avere una “boccata di aria fresca“, ma la verità è che questo articolo è solo un assaggino di quella che considero una vera e propria “bombola di ossigeno puro per la mente“.
Se ti senti soffocare, se senti che c’è “qualquadra che non cosa“, hai bisogno di una “bombola di ossigeno” che ti schiarisca le idee e ti aiuti a tornare sulla strada giusta… ecco, è quella “bombola” a cui aggrapparsi per non sentirsi mancare il fiato tra una coda in tangenziale e l’ennesima riunione di un lavoro che non ti appartiene.
Ah, dimenticavo, ora vivo in una casa con vista oceano… la mia felicità!
Daniela Bonati